L’obiettivo di questo spettacolo è sfondare la cosiddetta ‘quarta parete’?
Esatto. Ma è il pubblico stesso che vuole sfasciare la quarta parete. Questo spettacolo ha un senso proprio perché abbiamo un pubblico disponibile a giocare, a entrare in relazione con noi. È stata per entrambe la prima volta che affrontiamo un esperimento di questo tipo. Veniamo da esperienze ‘alternative’, legate al teatro di ricerca, ma uno spettacolo di questa natura è una novità nel nostro percorso artistico. È uno spettacolo poi che si presta ad essere accolto in cornici particolari: ad esempio lo abbiamo messo in scena nelle scale mobili del mercato di via San Benedetto a Cagliari. Abbiamo deciso di mettere su qualcosa di funzionale al rapporto con gli spettatori, non abbiamo prestato minimamente attenzione al lato estetico della cornice.
Che tipo di pubblico si interessa a questo spettacolo?
C’è un pubblico più intellettuale, interessato all’ossatura lacaniana che regge il testo. E un pubblico di persone intellettualmente curiose, interessate a scoprire le alternative che offre il linguaggio teatrale. I lacaniani si occupano nei loro studi dei cosiddetti ‘nuovi sintomi’ della civilità contemporanea. E il professor Antonio di Ciaccia, che è uno dei massimi lacaniani in Italia, ha apprezzato il nostro progetto al punto tale da regalarci una bellissima presentazione scritta.
Uno spettacolo non canonico ha una distribuzione non canonica…
Siamo affiliate all’etichetta discografica Tempesta, per cui lavorano anche gruppi conosciuti come i Tre allegri ragazzi morti. La musica proposta da questa etichetta ha delle tematiche affini alle nostre: la descrizione di una società infantilizzata, che non cresce mai.
La ricerca del contatto fisico con lo spettatore ha creato qualche equivoco? Qualcuno si è lamentato?
No, perché nella condizione in cui mettiamo lo spettatore il contatto fisico diventa naturale. Ci sono studi dietro il nostro lavoro, non è un ‘assalto al buio’ il nostro. Il dato di partenza è che la gente non è più abituata a relazionarsi faccia a faccia. E questo spettacolo ha come obiettivo proprio quello di ricostruire insieme questa esperienza, e scoprire l’effetto che fa. Come vedi poi abbiamo scelto delle persone tra il pubblico per interagire con noi durante la recita: ebbene, quelle persone noi le scegliamo da subito. Appena entrano nella sala, noi sappiamo che quelle sono le facce giuste da coinvolgere nella performance.
Si parla sempre, e a ragione, di crisi del teatro. Forse l’antidoto per uscire da questa crisi è la proposta di testi fuori dal circuito.
Il teatro funziona meglio proprio quando c’è la crisi. Nei periodi di benessere, è noto, si partoriscono meno buone idee.
Avete realizzato uno spot in cui fermate per strada dei comuni passanti. Qualcuno si è incazzato?
La gente che abbiamo fermato per strada non sapeva niente, non era preparata alle nostre uscite estemporanee. Ma siamo preparate a sentirne di ogni, avevamo messo in conto la reazione di incazzatura. Queste reazioni fanno parte della drammaturgia, sono parte del nostro testo. E poi la verità sai qual è? Che abbiamo deciso di fare questo lavoro perché siamo messe peggio degli spettatori.
I giovani che mostrano una vocazione per il teatro spesso fanno l’errore di partire col teatro di ricerca. E invece, forse, dovrebbero partire con più umiltà.
Chi ha passione, e non sono tanti, ha bisogno di essere formato. Il velleitarismo non porta da nessuna parte. E poi è importante che capiscano che il percorso che porta allo spettacolo è più importante dello spettacolo stesso.
Ma insomma, alla fine, diciamola la verità: il vostro sogno nel cassetto è diventare delle hostess…
(ridono) Sì certo. Ma hostess da crociera. Alla Schettino.
Intervista di: Francesco Mattana
Grazie a: Matteo Torterolo, Ufficio stampa Teatro Litta
Sul web: www.teatrolitta.it