USCITA DI EMERGENZA
di Manlio Santanelli
con Rino Di Martino, Ernesto Mahieux
regia Pierpaolo Sepe
scene e costumi Tonino Di Ronza
disegno luci Salvatore Palladino
Pacebbene e Cirillo all’apparenza sono due terremotati; chiusi nella stessa stanza vivono il tormento e la paura di non poter uscire chissà per quale motivo che gli rode l’animo. Ognuno, a turno, si fa inquisitore della vita dell’altro, scruta con occhio ligio le sue ansie più recondite cercando di scoprirne il mistero e soprattutto tentando di carpire il segreto che trattiene l’altro dall’ uscire dalla casa. Così nella loro clausura il sacrestano, apparente virtuoso, Pacebbene e l’attore, fallito, Cirillo si fanno la guerra ad armi pari e si scambiano i ruoli, prima di vittima e poi di assassino.
Santanelli usando a pretesto il fenomeno geologico del bradisismo, che colpisce la zona flegrea, rappresenta quello che succede ad ogni mente umana che, nel suo vissuto quotidiano, viene attraversata da tormenti, gioie e dolori ed è quindi in continuo movimento, evoluzione. Pone quindi l’attenzione su tutta la crudeltà ed ingenuità del pensiero umano, visto nella sua profonda metafora; ecco allora che Pacebbene e Cirillo non sono che due facce della stessa medaglia, dello stesso cervello, non rappresentano che i pensieri che devastano ognuno di noi, la continua guerra tra bene e male, la paura, i rancori e le ansie, i ricordi che ci tormentano. Di fronte alla necessità ecco che anch’essi trovano però la loro “uscita d’emergenza” per non implodere e soprattutto esplodere; così Cirillo e Pacebbene, ognuno a pretesto dell’altro, sono costretti ad uscire dalla propria stanza, perché è la necessità della vita a portarci fuori da noi stessi, a far sì che il pensiero si trasformi in azione e soprattutto reazione.
Un’opera bellissima, ma che infelicemente questo spettacolo non è stato capace di rivalutare, in quanto la regia appare carente; l’unica originalità e modifica apportata rispetto al testo originale è stata la metafora del soffitto che un po’ alla volta crolla, carico dei troppi tormenti, e che quindi in qualche modo libera i pensieri. Per il resto sembra però che ci si limiti ad una semplice messa in scena di un vecchio capolavoro del grande Santanelli, piuttosto che lanciare un messaggio, e questo si riscontra anche nella prova attoriale. La recitazione risulta non del tutto convincente apparendo piuttosto monocorde; il registro non cambia mai, i ritmi eccessivamente convulsi e la dizione non eccellente spesso non consentono di comprendere appieno il testo, lasciando allo spettatore il tempo di distrarsi e perdersi, purtroppo.
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Articolo di: Italia Santocchio
Sul web: www.teatrobellini.it