Il poeta nazionale tunisino, il poeta del deserto, di Tozeur, come Mario Scalési lo era del Mediterraneo. Entrambi sono morti giovanissimi sfiancati dalla malattia - Abū al-Qāsim al-Chābbi, dicitura che io preferisco, è nato nel 1909 e morte nel 1934 – e hanno vissuto amori impossibili, laceranti, sono stati suggestionati dal sentimento dell’amore materno come grandioso, dall’incombere della morte che in Chabbi attraversa la natura e da quel senso di colpa e di punizione che non si riesce a dipanare. Eppure non sembra si siano conosciuti anche perché Chabbi conosceva solo l’arabo, lingua nella quale scrive. Chabbi certamente, annovera tra i suoi maestri i poeti della Nahdha e, segnatamente, Gibran Khalil Gibran. Figlio di un giudice, dopo il baccellierato, si iscrive a legge e si forma alla facoltà della moschea al-Zaytouna dove respira un ambiente teologico dal quale è molto lontano ma frequenta soprattutto la biblioteca allargando i propri orizzonti. Celebre il Discorso sull’immaginario degli Arabi, conferenza che tiene nel 1929 e che gli procurerà non pochi fastidi, oltre l’allontanamento di alcuni amici. Chabbi è scomodo, irriverente: si presenta a testa scoperta senza barba e baffi, critica aspramente anche nelle sue poesie il popolo tunisino, il suo popolo “senza cervello” del quale è deluso. La sua critica si appunta sullo scarso sviluppo della mitologia nel mondo arabo diversamente da quello greco-romano e scandinavo e sull’immaginario limitato, codificato dal punto di vista delle strutture, dove manca a suo parere la presenza della natura, la donna non è fonte di ispirazione ma solo oggetto e poco si sono sviluppati racconto e romanzo. Non è un caso che la sua opera venne pubblicata solo a partire dal 1955. Eppure la struttura formale non è innovativa attenendosi alla forma classica della qasida; lo è invece lo spirito, l’ispirazione e molti contenuti, quel linguaggio diretto, talora da invettiva, quella natura madre-matrigna che ricorda certa nostra poesia romantica. Le liriche di Chabbi sono dolenti, eppure preziose, in uno sfogo interiore che non è mai una semplice confessione ma una riflessione raffinata. Un poeta che merita di essere scoperto ed è questo il merito principale del direttore della collana e curatore del testo Salvatore Mugno, che già aveva lavorato su Scalesi, recensito su queste pagine. A ben guardare se la Tunisia è considerata un paese di uomini ‘a sangue freddo’ ha partorito tanti rivoluzionari e negli anni di Chabbi alcuni grandi riformatori come Tahir Haddad, nell’ambito della scuola e della posizione della donna. Le poesie abbracciano tematiche variegate e sono attraversate da una grande sacralità. Il mio dubbio è sulla scelta della rivisitazione poetica di Gëzim Hajdari - su traduzione dall’arabo di Imed Mehadheb – albanese che condivide con Chabbi ben più che l’amore per la vita, la vera religione del poeta, di colui che resta affamato e non si rifugia mai nel passato, quanto anche la vocazione poetica. Certo nel testo a fronte di perde la corrispondenza ma non è tanto questo: mi chiede perché a volte sono state operate delle scelte di allontanamento dal tesato che poteva funzionare e sarebbe interessante scoprirlo.
I canti della vita
Abū l-Qāsim ash-Shābbi
Traduzione dall’arabo, Imed Mehadheb
Rivisitazione poetica, Gëzim Hajdari
Saggio introduttivo e cura, Salvatore Mugno
Prefazione, Abderrazak Bannour
Postfazione di Aldo Nicosia
Trapani, 2009
Euro 20,00
Articolo di Ilaria Guidantoni