La prima uscita della nuova serie curata da Nicola Crocetti e dedicata ai grandi della poesia del Corrire della Sera, “diVersi”, è dedicato alla poetessa americana Emily Dickinson, primo di trenta titoli, dall’antichità al ’900 (in regalo al prezzo di 6,90 euro oltre il prezzo del quotidiano). Si tratta al di là dell’edizione di un’antologia per riscoprire una poetessa importante, sconosciuta in vita e forse non abbastanza letta, nella traduzione di Margherita Guidacci). Si legge nell’introduzione di Nicola Crocetti: «Per conoscere il mondo e le sue verità non è necessario uscire dalla propria stanza e dal giardino, ci dice Emily Dickinson. Da quella stanza, leggiamo in una delle sue più celebri poesie, è partita la sua “lettera al mondo”».
Infatti quasi tutti gli scritti della poetessa statunitense (1830-1886) sono composti nella casa di famiglia, dove Dickinson cresce e muore ma la sua anima palpita in un respiro universale anche se viaggerà pochissimo. La donna, amante della natura e ossessionata dalla morte, sceglie di vivere isolata, rinchiusa nella propria camera (anche per problemi di salute). «Dalla sua stanza — scrive ancora Crocetti — Emily ci descrive il suo “universo domestico” popolato di animali, fiori, piante (...). Il suo stile formale nuovo, essenziale, è fatto di immagini folgoranti, che colgono l’essenza delle cose, di versi brevi, spezzati da un trattino, sua caratteristica e timbro di rottura con la tradizione».
Il corpo intero delle poesie di Dickinson, composto da 1775 testi, viene scoperto dalla sorella una settimana dopo la morte di Emily: sono versi scritti su foglietti, margini e frammenti di carta, come appunti di folgorazioni che la coglievano ovunque si trovasse. Emily li aveva conservati in un raccoglitore in legno di ciliegio. Una donna frustrata e nevrastenica avrebbe sventolato sotto il naso dei suoi contemporanei ogni verso stillato dalla propria penna. La poetessa scriveva per un bisogno incontenibile di esprimersi attraverso la parola non per pubblicare. L’eccezionalità di Emily non va confusa con quella, più stizzita, di Victoria Aganoor, italiana di origine armena, di vent’anni più giovane di Dickinson e anch’essa poetessa, ma col “difetto” della perfezione. Aganoor, dopo aver conosciuto la dolcezza del canto, ha conosciuto il sentimento della perdita, proprio come Dickinson. Ma Dickinson si lascia essere imperfetta, aderisce all’umana imperfezione con tutta sé stessa e canta l’amore con un’appassionata blasfemia: «poiché tu hai saturato la mia vista / e io non ho avuto più occhi / per una perfezione così squallida / come è il Paradiso».
Il suo spogliarsi del mondo, dei contatti – anche se a casa riceveva visite, quel vestirsi solo di bianco come una sposa mancata o una suora ma anche una bambina, è un grido di ribellione originale e di libertà: il bianco come somma di tutti i colori, trasfigurati in una dimensione altra.
Si sentì sempre profondamente incompresa anche dai suoi familiari: era la sola persona non religiosa della famiglia e anche in questo ci appare moderna non per l’avversione alla religione, che in realtà non manifesta, ma perché sembra accedere ad una dimensione universale della spiritualità.
Nello stile è più forte la sua rottura con la società e il gusto dell’epoca. Sono rimasti famosi appunto i «trattini» come api che ronzano in mezzo ai versi, pause impure, estorte al silenzio. Sono l’invenzione di un “quasi” silenzio, ha scritto la critica. Eppure sono nitidissimi, precisi come piccole lame, o pungiglioni. Dentro lei c’è una forza selvaggia e indomabile, come afferma chiunque l’abbia incontrata, un fervore, che emerge chiarissimo da quello che lei stessa scrive di sé lettrice di poesia: «se leggo un libro e mi sento gelare in tutto il corpo così che nessun fuoco mi può scaldare, allora so che quella è poesia». La sua realtà è il mondo non la patria, la sua storia la natura.
Dal suo cantuccio di mondo, attraverso l’esercizio incessante della scrittura, Emily arriva a conoscere il mondo e a offrircelo attraverso la lontananza che non è distacco. Non descrive la realtà ma la vive nel suo palpito più profondo e non bisogna farci ingannare da piccoli quadri che sembrano sguardi una fanciulla romantica e poca cosa. Ci sono versi che cominciano in sordina e in poche righe formano un crescendo travolgente di passione come nel componimento III, XXV (249) “O frenetiche notti!/Se fossi accanto a te,/queste notti frenetiche sarebbero/la nostra estasi/…Vogar nell’Eden!/ Ah, il mare!/ Se potessi ancorarmi/stanotte in te!”
Nella stanza di Emily Dickinson
Collana diVersi
Corriere della Sera
2019
Articolo di Ilaria Guidantoni